La guerra in Ucraina è iniziata durante la settimana della moda di Milano. Un assalto guidato da Putin che ha visto più di un milione di persone fuggire dai confini del paese e attacchi ai civili in città tra cui la capitale Kiev, causando una devastante perdita di vite umane. Subito dopo è partita la Paris Fashion Week.
La bolla delle fashion week, che si spostano di città in città per un mese, è stata criticata per la sua estraneità al momento tragico che stiamo affrontando.
Coloro che partecipano alle settimane della moda o le visualizzano online, percepiscono una profonda discordanza tra la pubblicazione e lo scorrimento di immagini di collezioni di moda, esuberanti ed evasive su Instagram, seguite da immagini tragiche di guerra.
Durante le presentazioni la moda, parte integrante della nostra cultura, fornisce fantasia, una via di fuga, un balsamo, ma anche una riflessione socio-politica del mondo che ci circonda. Come Giorgio Armani che allo scoppio della guerra ha risposto con una sfilata in totale silenzio, in rispetto al popolo ucraino.

A Parigi, Ralph Toledano, presidente della Fédération de la Haute Couture et de la Mode, ha rilasciato un comunicato che esortava le persone a:
“vivere gli spettacoli delle sfilate con solennità e nel riflesso di queste ore buie”.
All’inizio delle sfilate di Parigi, giornalisti di moda ucraini, ora rifugiati, stilisti ucraini, tra cui Lilia Litkovskaya, che stava preparando la sua sfilata per la capitale francese prima dell’inizio dell’invasione ed è fuggita da Kiev attraverso la Polonia con la figlia di due anni, hanno mobilitato coloro che li circondano per utilizzare le loro piattaforme per supportare e amplificare la difficile situazione ucraina. Il marchio ungherese Nanushka, presentato per la prima volta a Parigi dallo scoppio della pandemia, ha annunciato la sua solidarietà al paese vicino, collaborando con il Servizio di beneficenza ungherese dell’Ordine di Malta per fornire alloggio, cibo, vestiti e trasporto a coloro che entrano a Budapest.

Balenciaga, guidato dal georgiano Demna Gvasalia, ha cancellato il suo feed di Instagram, pubblicando solo una singola immagine della bandiera ucraina e dichiarando di aprire le piattaforme solo per segnalare e trasmettere informazioni sulla situazione in Ucraina. Un numero sempre più crescente di brand, tra cui Nike ha dichiarato di aver smesso di elaborare gli ordini online ai clienti russi. A chiedere pubblicamente per prima l’embargo degli articoli di moda in Russia è Vogue Ucraina che martedì, sul suo canale ufficiale Instagram, ha invitato l’industria della moda a parlare della guerra. Attraverso l’artista serba Marina Abramovic ha dichiarato:
“Mostrare la propria coscienza e scegliere l’umanità rispetto ai benefici monetari è l’unica posizione ragionevole che si può assumere nell’affrontare il comportamento violento della Russia”.
Adidas ha sospeso la sua partnership con la Federcalcio russa. Molte, tante sono le mobilitazione del mondo della moda contro la guerra; Gucci, Louis Vuitton, Valentino, Carlo Capasa, Presidente della Camera Nazionale della Moda ma anche brand più piccoli. Donazioni, supporti di accoglienza, sospensione delle vendite nel mercato russo, proclami e sostegno economico.

Si può fare politica sociale anche attraverso la moda che è espressione di cultura e storia del nostro e di molti paesi europei.
Le sfilate sono l’esito finale, che dura appena 15 minuti, di un lavoro creativo che inizia più di un anno prima; sono eventi che richiedono mesi di lavoro di centinaia di persone, di aziende, di filiere e importanti investimenti. Ralph Toledano ha spiegato:
“La capacità di esprimersi creativamente si basa sul principio di libertà. E il ruolo della moda è quello di contribuire all’emancipazione individuale e collettiva nelle nostre società”.
Per questo e perché la moda è anche fonte di economia, non si può fermare. Deve continuare a mobilitarsi, come lo sport, l’arte, la musica, la ristorazione e tutte le espressioni libere della nostra cultura e società.
Cris…VeryCris
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