Con l’arrivo della primavera, la moda inizia a volgere lo sguardo alla stagione estiva: tra i protagonisti indiscussi del guardaroba da spiaggia, il bikini racconta una storia di emancipazione, scandali e trasformazioni sociali che vale la pena di ripercorrere.
Il bikini infatti oltre ad essere un capo estivo iconico, riflette il modo in cui i codici sociali e gli atteggiamenti nei confronti del corpo femminile si sono evoluti nel tempo. La sua storia accompagna le grandi rivoluzioni culturali del Novecento fino a oggi.
Nato come simbolo di rottura e provocazione, il bikini ha attraversato decenni di scandali, mode e rivendicazioni, fino a diventare oggi terreno fertile per un movimento molto più ampio: quello della body positivity.
Questo movimento che promuove l’accettazione di tutti i corpi, indipendentemente da taglia, forma, colore, età o disabilità, ha restituito al bikini la sua vocazione originaria: quella di essere un atto di libertà.
Chi avrebbe mai pensato che un piccolo costume da bagno potesse contenere così tanto significato?
Dalle terme romane alla spiaggia di Saint-Tropez
I nostri antenati sembravano molto meno pignoli riguardo alla moralità e alla nudità dei corpi, infatti contrariamente a quanto si possa pensare, il bikini non nasce nel XX secolo. Una delle prime raffigurazioni su larga scala dei primi “due pezzi”, risale addirittura all’Antica Roma; come testimoniano i mosaici rinvenuti a Piazza Armerina in Sicilia (IV secolo d.C.), dove sono raffigurate donne che praticano sport indossando costumi simili al bikini.

Nel XIX secolo invece e fino all’inizio del XX secolo è semplicemente impensabile per una donna mostrare anche la minima parte del proprio corpo; infatti per fare anche solo un tuffo è costretta ad indossare dei veri e propri abiti che la coprono completamente, testa compresa. La prima donna a dare una vera e propria svolta (nel 1907) è la nuotatrice australiana Annette Kellerman che per gareggiare adotta un costume da bagno aderente e senza maniche che le procura una multa e tanti guai. Ma la giovane atleta non si lascia intimorire e comincia a commercializzare la sua invenzione. Così, nel 1915, il costume intero diventa l’indumento da spiaggia per la maggior parte delle donne americane.

La nascita ufficiale del bikini moderno
Per quanto riguarda il bikini, due stilisti francesi: Jacques Heim e Louis Réard, contribuiscono al lancio del costume da bagno “più piccolo del mondo”.
Inizialmente Heim nel 1932 lancia “Atome”: il primo costume realizzato in due pezzi: composto da pantaloncini a vita alta che nascondono l’ombelico e reggiseno. Questo precursore del bikini negli anni ’40 diventa il capo essenziale della moda mare. Se non è ancora considerato un “bikini” e non suscita scandalo, è perché ha una vestibilità a vita molto alta, che non rivela il sacrosanto tabù… l’ombelico!

Ed è proprio questo confine che Louis Réard, un sarto ed ex ingegnere automobilistico che, qualche anno prima ha rilevato il negozio di lingerie della madre, infrange, ma solo nel 1946.
Il bikini, la prima bomba “anatomica”
A Réard, osservando le donne che arrotolano i loro costumi da bagno per dare più pelle alla loro abbronzatura, viene l’idea di creare “il costume da bagno più piccolo del mondo”. Un costume che, una volta piegato, può entrare in una scatola di fiammiferi: un reggiseno e delle mutandine formati da due triangoli di tessuto collegati da un cordino.
Il nome “bikini” non è casuale: Réard lo sceglie ispirandosi all’atollo di Bikini, nelle isole Marshall, dove gli Stati Uniti hanno testato pochi giorni prima, una bomba atomica. Il bikini, come la bomba, deve essere “esplosivo” per l’opinione pubblica. Infatti, già prima della sua presentazione ufficiale alla Piscine Molitor di Parigi il 5 di luglio, il capo suscita scandalo. Nessuna modella professionista accetta di indossarlo, costringendo Réard ad assumere per la sfilata la spogliarellista del Casinò de Paris: Micheline need-me.

Gli anni ‘50: scandalo e censura
Il bikini viene bandito in diversi Paesi europei come in Italia, Spagna e Belgio: giudicato indecente, provocatorio e “anti-morale”. Le dive hollywoodiane, per non confondersi con una spogliarellista, preferiscono indossare il costume intero, che lascia intuire senza svelare. Malgrado le difficoltà, il bikini viene invece approvato dalla famosa e audace giornalista e redattrice di moda Diana Vreeland. Harper ‘s Bazaar, la rivista presso cui lavora all’epoca, è la prima a pubblicare l’articolo che lancia il bikini in America.
Ci vogliono ancora alcuni anni prima che invece il cinema lo lanci attraverso le sue celebrità. Tuttavia, la strada è spianata: il cambiamento è nell’aria.
Anni ’60 – ’70: libertà, femminismo e rivoluzione

Mentre il mondo cambia, il bikini si libera dalle sue catene; diventa manifesto di una nuova femminilità: libera, audace e protagonista.
Questo minuscolo indumento diventa rapidamente l’outfit più in voga a Saint-Tropez e presto su tutte le spiagge francesi. Brigitte Bardot, sublime giovane donna di 18 anni, nel suo bikini a fiori rosso e bianco, viene fotografata al Festival di Cannes nel 1953, poi estremamente sensuale nel 1956, in “E Dio… creò la donna”.
Due anni dopo, Ursula Andress, emancipata dalla sua frizzante sensualità, emerge dalle acque in un bikini bianco bagnato e bollente, nel manifesto di James Bond contro Dr. No. Un colpo di marketing colossale: il bikini conquista definitivamente le donne americane. Secondo il Time, lo indossano il 65% delle ragazze più giovani.

Il movimento femminista combatte per diritti concreti come lavoro, maternità, aborto e coinvolge anche l’abbigliamento sul terreno di battaglia. Sì perché, mentre la donna si emancipa, il suo corpo adotta una nuova silhouette. Il bikini non è più solo “moda”: è politica, autodeterminazione, corporeità vissuta senza vergogna.
Anni ’80 – ’90: tra estetica e sessualizzazione
Con l’avvento della cultura del corpo e dell’estetica da palestra e delle super top model, si affermano nuovi canoni, ma anche nuove pressioni estetiche. Il corpo femminile diventa sempre più un’icona visiva da esibire. Nel contempo, la pubblicità e i media iniziano a ipersessualizzare il corpo femminile in bikini, dando avvio a un dibattito sul body image e gli standard estetici imposti.

Il bikini diventa sempre più ridotto e attillato, mettendo in evidenza muscoli, curve e abbronzatura; si riduce, si stringe, si modella sul corpo “perfetto”. E qui si apre un nuovo paradosso: da simbolo di libertà, il bikini rischia di diventare gabbia. Bellissimo, ma solo se portato da un corpo conforme agli standard imposti da pubblicità e media.
Si diffonde il tanga brasiliano; nascono varianti perfette per allungare le gambe e sottolineare il punto vita, si utilizzano nuovi materiali, più adatti all’acqua.

A partire dagli anni ’90 gli stili si moltiplicano, marchi come Victoria’s Secret, Calvin Klein, e Hawaiian Tropic contribuiscono a definire gli stili iconici dell’epoca, con bikini in colori vivaci, stampe audaci e dettagli sexy. Le più alte sfere della moda da Chanel a Saint Laurent ne rivisitano la versione couture.

Oggi: inclusività, body positivity e nuove narrazioni
Ai suoi esordi, considerato scandaloso al punto da essere bandito in diversi paesi il bikini portava già in sé un seme di emancipazione: piccolo ma potente simbolo di una rivoluzione culturale ancora in atto.
Un tempo riservato a corpi considerati “perfetti” secondo canoni rigidi e imposti, il due pezzi ha rappresentato per anni uno spartiacque tra accettazione sociale e insicurezza individuale. Oggi, però, il suo significato si sta trasformando.
Oggi, in piena epoca di body positivity, quel seme è germogliato. Il movimento, nato negli anni Duemila ma con radici nei femminismi degli anni ’60 e nelle lotte per i diritti civili, promuove l’accettazione di tutti i corpi, rifiutando i canoni estetici imposti e celebrando la diversità.

In questo nuovo contesto, il bikini diventa un alleato della narrazione positiva del corpo: non più simbolo di un ideale irraggiungibile, ma strumento di espressione personale. Campagne pubblicitarie più inclusive, modelli di costumi pensati per ogni tipo di fisicità contribuiscono a cambiare l’immaginario collettivo. L’estetica lascia spazio all’identità, il corpo non è più da correggere ma da valorizzare.

In questo contesto, il bikini assume un nuovo ruolo: da oggetto della cultura pop a simbolo di autodeterminazione. Inoltre, aumentano le collezioni contemporanee che puntano su materiali sostenibili, riflettendo anche una crescente coscienza ecologica e sociale.
Cris…VeryCris
Potrebbe piacerti anche: Edie Sedgwick – timeless inspiration 1965
Lascia un commento