Lo storytelling è parte integrante della moda: costruisce significati, plasma identità, e crea un dialogo profondo tra chi crea e chi indossa.
Il termine anglosassone storytelling, letteralmente “raccontare storie”, racchiude perfettamente l’essenza della moda contemporanea: un settore che, pur affondando le radici in antiche tradizioni, continua a reinventarsi attraverso narrazioni avvincenti capaci di connettersi con i consumatori a un livello emotivo e valoriale profondo.
La moda è un linguaggio, una narrazione, una trama intessuta di emozioni, memorie e identità. Passando dalla fabbrica alla passerella, dalla pagina allo schermo, dalla telecamera al blog e dallo stilista al pubblico; la moda è sia forma mediata di contenuto del branding che strumento letterario e cinematografico e, non meno importante, forma di espressione personale per il cliente. La moda è sempre stata sia soggetto che oggetto di narrazione.
Forma d’arte quotidiana.
Proprio come uno scrittore sa raccontare una storia usando le parole, gli stilisti usano la moda e il design come mezzo narrativo. Il simbolismo dietro il colore, la texture, la stampa, le immagini, i decori, le silhouette di un capo e il modo in cui sono rappresentati pubblicamente sono le forme in cui stilisti e brand raccontano le loro storie.
Anche i materiali utilizzati, la loro provenienza e la loro lavorazione in una collezione possono svolgere un ruolo chiave nel raccontarne la storia. Ad esempio, un brand può scegliere di utilizzare materiali sostenibili e artigianali per riflettere il proprio impegno verso la responsabilità ambientale o tessuti lussuosi per evocare un senso di opulenza e glamour.
Ogni abito, ogni collezione, ogni accessorio porta con sé un patrimonio di storie, luoghi, heritage (eredità, patrimonio culturale) ed emozioni. La narrazione nella moda non si esaurisce in una campagna pubblicitaria o in una sfilata: è un dialogo costante tra il brand e il pubblico, tra la memoria collettiva e l’individualità.
Nel mondo contemporaneo, dove i confini tra fisico e digitale si fanno sempre più labili, lo storytelling è la linfa vitale di un brand, lo strumento per connettersi emotivamente al consumatore, andando oltre la superficie del prodotto.
Moda e Cinema: un racconto visivo senza tempo.
Il cinema e la moda hanno da sempre mantenuto un rapporto simbiotico, influenzandosi reciprocamente. Il film offre alla moda una piattaforma narrativa potentissima, un palcoscenico dove l’abito non è più solo un oggetto, ma un simbolo, un personaggio con un suo ruolo. La moda viene comunicata e incontrata in forme narrative sia visive che verbali. Questa affermazione apparentemente semplice, è più complessa di quanto possa sembrare, poiché la moda è rappresentata multimodalmente con parole e immagini, in forme parlate, scritte e visive.
Nel tempo le campagne fotografiche e le sfilate si sono evolute in veri e propri racconti visivi. Ogni immagine, ogni scatto, contribuisce a costruire una storia che va ben oltre la semplice esposizione del prodotto. Stile, luce, composizione, palette colori e la scelta dei modelli concorrono a creare un immaginario coerente e riconoscibile, capace di evocare emozioni e di trasmettere i valori del brand.

Un esempio iconico di questa fusione tra moda e storytelling è la fotografia di Peter Lindbergh per l’Oyster Dress di Alexander McQueen (2003): uno scatto che non si limita a immortalare un abito, ma racconta una visione poetica e fragile, evocando la forza del mare e la maestria artigianale di McQueen.
In modo diverso ma sempre emozionale, Dolce & Gabbana con le loro campagne neorealiste hanno evocato la Sicilia arcaica, popolata di donne forti e sensuali, restituendo alla moda un’eco di tradizione che diventa moderna mitologia visiva.

Moda e Storytelling: da tendenza a movimento
Oggi più che mai, le persone non comprano un abito, comprano la storia rappresentata. Quando un brand riesce a intrecciare emozioni, valori ed esperienze condivise, crea qualcosa che va oltre il prodotto: crea un movimento.
Coco Chanel ha comunicato temi sociali attraverso i suoi abiti, donando alle donne un senso di empowerment e sicurezza che le ha liberate da una storia di emarginazione politica e sociale.
Lo storytelling nella moda è un esercizio di visione, creatività e consapevolezza, capace di trasformare gli acquirenti in sostenitori appassionati. Il vero vantaggio competitivo di un brand non è il prezzo o il design, ma la capacità di raccontare storie autentiche e coinvolgenti.
Le sfilate, i social media, le campagne pubblicitarie, ogni piattaforma offre ai brand l’opportunità di narrare e di ispirare. Ma la vera sfida non è stupire, bensì creare un legame emotivo autentico, capace di resistere nel tempo.
Il ruolo dell’heritage: raccontare il passato per parlare al presente
Nel panorama odierno, dominato da performance di marketing e contenuti digitali effimeri, il ritorno all’heritage narrativo diventa un’esigenza per distinguersi. Senza una narrazione autentica, la visibilità si riduce ad un mero esercizio sterile, incapace di generare valore duraturo.

Nel 2023, molte maison di lusso hanno riscoperto il proprio passato, attingendo agli archivi per ridefinire la propria identità storica. La reinterpretazione di codici estetici, motivi iconici e volumi senza tempo ha dato vita a collezioni in grado di parlare al pubblico contemporaneo, risvegliando una nostalgia consapevole e innovativa.
Lo storytelling applicato all’heritage costituisce dunque un esercizio per rendere contemporaneo e accattivante il passato aziendale, mettendone a frutto le numerose potenzialità narrative ed evocative.
Concetti come brand purpose (il legame emotivo che il brand ha con il suo pubblico, ovvero il motivo per cui esiste), storytelling e racconto di marca che in passato sembravano essere stati accantonati, sono tornati centrali. Non si tratta di mera estetica, ma di un’esigenza profonda di significato; i consumatori cercano marchi con integrità, trasparenza e una storia in cui potersi riconoscere.
Il potere invisibile dello Storytelling nella moda.
La scienza conferma ciò che la moda ha sempre saputo: le storie lasciano il segno. Quando un brand riesce a costruire una narrazione avvincente, la mente dell’ascoltatore (o dello spettatore) entra in risonanza con chi racconta, attivando quelle aree cerebrali legate all’emozione e alla memoria.
Non è un caso che le persone ricordino 22 volte meglio un’informazione se è presentata sotto forma di storia. Le emozioni come la nostalgia, l’entusiasmo e la gioia possono legare indissolubilmente un consumatore a un brand, trasformando un semplice acquisto in un’esperienza.
Un esempio recente è stato la sfilata di Bottega Veneta SS25, dove Matthieu Blazy ha orchestrato un racconto emozionale sulla crescita e la memoria. Gli abiti oversize evocavano la curiosità infantile, mentre la pelle e il grunge rappresentavano l’adolescenza.

La collezione è quindi riuscita a raccontare una storia semplice e intuitiva sulla nostra vita quotidiana, presentando personaggi familiari; sfidando gli adulti a rinunciare alla sofisticatezza adulta e troppo curata in favore di un’autentica giocosità. Non si è trattato quindi di sola moda: la sfilata è stata una narrazione sensoriale e visiva che ha parlato dell’infanzia di ognuno di noi, riconnettendoci con la gioia di “giocare a vestirsi”.
Cultura e moda.
Ma lo storytelling nella moda non si limita alla nostalgia, si tratta anche di rendere indossabile la cultura; di intrecciare sfumature interdisciplinari e riferimenti culturali ed etici in un design contemporaneo che sia al tempo stesso personale e innovativo. Ogni collezione diventa così una dichiarazione di intenti, un invito a prendere parte a una storia più grande. Questi progetti non sono solo moda: sono dialoghi sulla conservazione culturale e sulla reinterpretazione moderna.
Questo fenomeno non si limita al luxury, ma coinvolge anche brand mainstream come Levi’s, che ha costruito la propria identità attorno a concetti di controcultura, rivoluzione ed eguaglianza. O Stella McCartney, che ha fatto della sostenibilità un messaggio identitario, raccontando la moda come atto etico.

Ma pochi stilisti hanno intrecciato narrazione e cultura nelle loro collezioni con la stessa maestria di Lee Alexander McQueen. La sua collezione autunno 1995-1996, “Highland Rape”, rappresenta uno degli esempi più viscerali di moda come narrazione. La sfilata esplorava la storia della colonizzazione inglese in Scozia e la distruzione della cultura scozzese. McQueen ha utilizzato tessuti tartan strappati, pizzi usurati e silhouette esagerate per evocare un senso di cruda emozione e angoscia storica. Le modelle, con il trucco sbavato e le espressioni tormentate, sembravano sopravvissute a una battaglia: incarnazioni viventi di resilienza e perdita. La capacità di McQueen di coniugare moda e narrazione si è estesa ben oltre questa collezione; per tutta la sua carriera, le sue sfilate sono apparse come spettacoli teatrali, ognuna con un arco narrativo ben definito.
La moda non è semplicemente una scelta estetica, ma un atto psicologico e sociale.
Cosa compro, perché compro, come compro: ogni scelta di consumo nel mondo della moda è un atto psicologico. La moda riflette il modo in cui vediamo noi stessi e come desideriamo essere percepiti. È una forma di comunicazione non verbale che ci permette di curare la nostra immagine personale e di raccontare chi siamo. Alcuni desiderano esprimere la propria creatività e unicità attraverso le proprie espressioni sartoriali. Altri vogliono essere parte della tendenza.
Acquistare moda oggi significa comprare un’idea, un concetto, un senso di appartenenza.
La teoria della congruenza prodotto-immagine spiega come siamo più attratti da quei brand che riflettono la nostra personalità e i nostri valori. In un’epoca in cui l’individualismo e la ricerca di autenticità sono imperativi, la moda diventa un linguaggio non verbale per costruire il proprio “marchio personale”.

In definitiva, non crediamo nei marchi, ma nelle storie di cui si circondano. È questo il potere del fashion storytelling: trasformare l’ordinario in straordinario, facendo della moda non solo un atto estetico, ma un gesto narrativo, emotivo e culturale.
Lo storytelling nella moda, tuttavia, ha anche un lato oscuro: può alimentare il consumo eccessivo e perpetuare standard di bellezza irrealistici. Questo impone al settore una grande responsabilità: raccontare storie che includano, che abbattano stereotipi e che promuovano un consumo più consapevole ed etico.
Mentre ad alcuni la moda appare superficiale, per altri possiede una profondità che riecheggia la profonda consapevolezza del sé umano.
Cris…VeryCris
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