Made in Italy, nulla che abbia veramente valore si costruisce in un giorno.
Il successo della moda italiana è frutto di una lunga storia. E’ partita dal glamour del cinema e dalla sensualità delle grandi dive americane che ne sono rimaste ammaliate.
Un fascino che nel corso dei decenni si è ampliato come un’eco e che continua fino ai giorni nostri.
Il meraviglioso percorso segnato da momenti topici, nel quale la presa di coscienza delle qualità e dell’identità della moda italiana, sui mercati esteri, si è sviluppata è consolidata.
Occasioni, eventi e specialmente personalità creative e visionarie hanno creato l’imput, la partenza, la scintilla del nostro successo. Ma partiamo dall’inizio.
C’erano una volta gli anni ’50...
La moda italiana era messa in ombra, oscurata dal prestigio e dalle innovazioni della moda francese che si divideva tra Cocò Chanel e Christian Dior.
Le nostre bravissime Sorelle Fontana godevano già di una notevolissima popolarità tra le nobildonne romane. Popolarità che però rimaneva confinata tra le mura della città eterna.
Nel ’49, grazie a Cinecittà l’eco della bravura delle nostre stiliste, arrivò fino in America e precisamente alle orecchie di Linda Christian che scelse proprio loro per confezionare l’abito da sposa per il suo matrimonio con Tyrone Power. Lo sposo, per non essere da meno scelse il sarto Caraceni per il suo vestito.
Fu un evento mediatico senza precedenti, che fece aumentare a dismisura la popolarità delle Sorelle Fontana e di Caraceni . Trasformò Roma nella “Hollywood sul Tevere”.
Da quell’evento tutti i riflettori di Hollywood e delle sue divine si concentrarono sugli atelier della capitale.
Ava Gardner si faceva vestire solo dalle Sorelle Fontana sia nella vita privata che sul set. E’ una loro creazione il famoso abito “ Pretino”, ripreso poi per Anita Ekberg nella “Dolce Vita” di Fellini.
Anche Margaret Truman, figlia del Presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman, le scelse per il corredo oltre che per il vestito da sposa. Vestirono anche Jakie Kennedy, Soraya, Liz Taylor, Mirna Loy, Barbara Stanwich, Michelle Morgan…
Ed ecco che l’Italia divenne non solo la culla della moda ma anche il “paese del bel vivere”. Roma diventò meta fissa delle stelle del cinema. Spasimavano per la nascente silhouette a vita stretta con décolleté in evidenza, per le ampie e lunghissime gonne, per le scollature su schiena e spalle, tipiche dello stile italiano.
Il costumista Piero Gherardi realizzò per Anita Ekberg il leggendario abito nero con scollo a cuore e spacco vertiginoso che iconizzò la procace attrice e la fontana di Trevi.
Sull’onda di questo sfavillio della moda romana si fece strada l’intuizione del conte Giovanni Battista Giorgini, brillante imprenditore e aristocratico, fiorentino di grande charme, che decise di presentare l’Alta Moda italiana ai compratori esteri in un unico evento.
Un salto di qualità notevole, non più Haute Couture, pochi abiti realizzati per pochi eletti, ma una moda da boutique, sempre di qualità molto alta, ma per un più alto numero di persone. Quindi non più abiti su misura ma abiti in taglie.
Seconde linee che si ispirano alle creazioni più esclusive, su misura, ma semplificate nei tagli e rese più accessibili al pubblico.
Nel ’51 Giorgini radunò, nella splendida cornice di Villa Torrigiani a Firenze, un gruppo di stilisti e couturier che arrivavano da Roma e Milano, e organizzò “the first italian high fashion show” .
Gli inviti furono selezionati e recavano una specifica clausola:
“Lo scopo della serata è di valorizzare la nostra moda. Le signore sono vivamente pregate di indossare abiti di pura ispirazione italiana.”
Il successo fu tale che ne fu organizzata un altra l’anno successivo nella sala bianca di Palazzo Pitti che ebbe un successo stratosferico.
Grazie a questa intuizione, l’Italian Look trovò la propria consacrazione sfilando nei grandi saloni rinascimentali fiorentini. Una giovanissima Oriana Fallaci inviata per Epoca, ne fece la cronaca.
Tra il pubblico figurarono i più importanti buyers americani che videro nella cosiddetta moda-boutique un prodotto eccellente per il mercato d’oltreoceano e per la grande distribuzione di fascia alta. Creazioni realizzate in piccoli laboratori, con qualche decina di artigiani che potevano garantire una produzione per qualità e costi, perfetta. Lo stile incontrava la qualità dei materiali e della confezione sartoriale in un prodotto realizzato su scala sufficientemente ampia da poter servire le più prestigiose catene di grandi magazzini.
Da quel febbraio 1951 in poi, a quelli originari si sarebbero aggiunti nuovi talenti: Capucci, Galitzine, Krizia, Valentino e Mila Schön.
Nacque il prêt-à-porter italiano!
A metà degli anni ’50 si delineò in Italia una sorta di distribuzione dei compiti, caratteristica del Made in Italy, che si sarebbe poi perfezionata negli anni successivi.
Nel 1962 viene costituita la Camera nazionale della moda italiana, cui aderirono anche le case di moda milanesi.
Roma si sarebbe dedicata all’alta moda, Firenze alla moda-boutique, Torino e Milano all’abito di confezione e alla produzione dei tessuti.
Siamo nell’ottobre 1965 e la mitica Diana Vreeland deciderà di pubblicare nel numero più importante di Vogue, un servizio dal titolo “The Italians” per presentare i nuovi stilisti italiani in tutto il mondo.
Nell’editoriale in bianco e nero due altere modelle spiccavano tra colonne, capitelli e balconate definendo le linee e lo stile di quel che sarà riconosciuto per molto tempo a seguire come il Made in Italy.
Figura di spicco del Made in Italy, insieme a Giorgini, fu Beppe Modenese, che di Giorgini fu stretto collaboratore.
Uomo dal fascino incredibile e dotato di un’eleganza di modi naturale, molto amato dal dal jet-set internazionale fu definito con affetto da Vogue America “Minister of Elegance”. Organizzatore di eventi incredibili, il 3 ottobre del 1979 inventò il concetto stesso di Fashion Week, il Modit: tre giornate di defilè con 19 nomi in calendario, il vero inizio della moda a Milano.
Consulente di grandi aziende, consigliere fidato di molti stilisti, come l’amica Laura Biagiotti, il suo nome divenne sinonimo di certezza per tutti coloro che avessero degli interessi nel mondo della moda.
Trasformò Milano nel cuore della moda italiana.
Ora che conoscete la storia del Made in Italy sono certa potrete esserne orgogliosi come lo sono io.
Per me lo stile italiano è una filosofia che fa parte di un patrimonio culturale, fatto di storia e di familiarità con il bello. E’ alleanza, sinergia tra creatività e imprenditoria.
E’ un particolare approccio al design e alla realizzazione, è un pensiero completo, avvolgente nel quale creatività, inclusione di tradizioni culturali, spirito solare e moderno ne sono il dna.
E’ il contrario dell’iperspecializzazione (tanto in voga in questo momento), è visione globale che vive nel legame tra abilità del saper fare, creatività e imprenditorialità.
Il Made in Italy è l’accordo armonioso tra l’impulso iniziale, il percorso per realizzarlo e il manufatto finito, è poesia.
Io ne sono pazzamente innamorata, è il carburante del mio lavoro, è il sentimento che accompagna ogni mia creazione.
Buon “Italian life style” a tutti !
Se vi è piaciuto l’articolo ditelo con le stelline, grazie !
4 Commenti
[…] La collaborazione tra intelligenza artificiale e creatività umana promette maggiore produttività, coinvolgimento dei consumatori e maggiori ricavi. Mentre alcuni vedono l’IA come un catalizzatore per la produzione mirata, altri temono una perdita di innovazione. Si, è vero, la moda è un business, ma vogliamo veramente che si riduca solamente a questo? Pensiamo al nostro Made in Italy. […]
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